12/04/2024
- Approfondimento di comunicazione d'Impresa - Redazione di Largo Consumo
Società Benefit

De Matteis Agroalimentare diventa Società Benefit

De Matteis Agroalimentare diventa Società Benefit

De Matteis Agroalimentare, tra i principali player a livello italiano e internazionale nel settore della pasta secca è diventata Società Benefit. Con il nuovo statuto, il pastificio irpino, nato nel 1993 a Flumeri (AV), in prossimità delle principali aree di coltivazione del grano duro di Puglia, Campania e Basilicata ribadisce i suoi impegni per la valorizzazione della Filiera agricola di approvvigionamento di grano duro, per lo sviluppo del territorio, la salvaguardia dell’ambiente e il benessere dei collaboratori.

Un percorso iniziato quasi per caso, negli anni ’60, come spiega l’Amministratore Delegato Marco De Matteis: «La De Matteis è un’azienda familiare, collocata in Campania, in provincia di Avellino, con il gruppo imprenditoriale che nasce, negli anni ’60, nell’edilizia. Poi, nel 1993, ecco l’idea dell’agroalimentare: da un mulino con un piccolo pastificio, oggi diventato uno dei principali player mondiali nel mondo della pasta. Tutto questo, grazie anche ad un approccio lungimirante di mio padre, con un piano di investimenti che ha portato questo stabilimento ad attraversare più processi di ampliamento, fino a trasformarlo in una azienda medio-grande nel settore della produzione della pasta».

«Nell’ultimo anno abbiamo avuto un fatturato pari a 223 milioni, con un +3% rispetto all’esercizio precedente. Il 2023 è stato un anno positivo perché abbiamo realizzato un +6% a volume e, in particolare, siamo andati molto bene con la filiale americana, dove facciamo circa 1/3 del nostro fatturato. Il nostro brand Armando ha registrato invece una crescita del 26% a volume.

In generale, in un contesto di mercato non proprio dinamico, abbiamo raccolto un grande risultato. In Italia, siamo forti nella GDO sia con Armando sia con il PL, per noi da sempre un business importante. Il nostro marchio Armando è in costante crescita all’interno del nostro portafoglio: al momento rappresenta il 15%, mentre il Private Label è all’85%. Il business aziendale è all’80% estero, esportando sia la marca sia il PL. Abbiamo due stabilimenti, uno a Flumeri (AV) con dodici linee di produzione e uno a Giano dell’Umbria in provincia di Perugia, con altre quattro linee di produzione. Al momento, l’organizzazione occupa 317 dipendenti e ha una filiale commerciale negli Usa, che rappresentano il nostro primo mercato aziendale.

La nostra azienda è uscita per scelta dal mercato dei primi prezzi concentrandosi sul mercato PL di fascia medio-alta. Una scelta che risale al 2015 e che si è dimostrata lungimirante. La PL, oggi, chiede di ravvivare la categoria, lanciare linee anche Premium. Ecco perché, ad esempio, produciamo per i nostri clienti PL pasta 100% italiana, cosa che alcuni anni fa non esisteva. È fondamentale, come produttori, seguire l’andamento del mercato».

Seguite tutto il ciclo produttivo?

«Assolutamente sì, perché integrato al pastificio abbiamo un mulino di proprietà che è stato ampliato nel tempo, così come il pastificio stesso: oggi siamo 8-9 volte più grandi di quello che eravamo quando siamo partiti. La nostra è una impostazione familiare: io ho assunto il ruolo di Amministratore Delegato nel 2011 e, gradualmente, abbiamo cercato di strutturare la De Matteis, facendo attenzione alla selezione delle persone, i cui valori devono rispecchiare i nostri, e allo sviluppo organizzativo. Mio padre è ancora Presidente dell’azienda, Cavaliere del Lavoro dal 2014 svolge tutt’oggi un ruolo rilavante di indirizzo e di guida».

In cosa vi caratterizzate?

«Land, People e Pasta sono le parole scritte nel nostro logo, che racchiudono perfettamente i valori in cui ci riconosciamo. Land, perché investiamo in progetti che creano valore sul territorio e salvaguardano l'equilibrio tra uomo e natura. People, perché abbiamo un legame onesto con il mondo agricolo e le sue persone, tradizioni e competenze. Pasta, perché lavoriamo per creare prodotti genuini di cui si possa conoscere l'origine. Noi ci abbiamo creduto fin dall’inizio perché, nel 2013, il concetto di filiera era pressoché assente. Questa sensibilità e cultura, per noi, sono cresciute negli anni. Infatti, abbiamo deciso di approvvigionarci di grano di alta qualità direttamente dal nostro territorio, quando il grano italiano non aveva ancora la stessa eco di oggi. Il fatto di avere un mulino, poi, è importante dal punto di vista della filiera e della tracciabilità».

L’estero cosa rappresenta per voi, al di là della quota di mercato?

«Sicuramente, è un vantaggio in termini di diversificazione del rischio, in senso lato. Negli Usa, oltre ad esportare Pasta Armando – in questo mercato ancora in fase embrionale - lavoriamo anche per le PL. È un mercato che, rispetto all’Europa, ha ancora margini di sviluppo e dove riteniamo possa avvenire un processo di europeizzazione dei consumi, con maggiore spazio per i prodotti alimentari di fascia premium.

Perché la filiera Armando è diversa dalle altre?

«Perché noi firmiamo un patto con la singola azienda agricola. Un modello nato 13 anni fa, quasi come esperimento, che stabilisce un rapporto biunivoco tra industria e azienda agricola, diretto, senza intermediazione. Questo patto prevede un contratto e un disciplinare. L’azienda garantisce agli agricoltori un certo reddito a fronte del rispetto del disciplinare, per il quale devono applicare determinate regole. In questo modo abbiamo la garanzia che gli agricoltori raggiungeranno dei livelli qualitativi del grano di eccellenza, a fronte del quale l’azienda paga un prezzo minimo garantito e delle premialità. L’agricoltore, in pratica, sa già, fin dal momento della semina, quale sarà il suo reddito, partendo da un minimo garantito e potendo beneficiare di premialità aggiuntive che dipendono da vari fattori. Oggi la filiera raggiunge quasi i 13mila ettari e gli agricoltori sono in grado di aumentare le rese del 15%. Per non parlare della qualità del grano, paragonabile a quella del miglior grano internazionale. Noi produciamo Pasta Armando esclusivamente con il grano che proviene da questa filiera e che rispetta il disciplinare. Negli ultimi tre anni, abbiamo lanciato il cuore oltre l’ostacolo, lavorando per ottenere la certificazione di Metodo Zero residui di pesticidi, come forma di ulteriore evoluzione della filiera. Inoltre, all’interno dell’azienda abbiamo installato un modernissimo laboratorio dedicato esclusivamente alle analisi di residualità, con macchinari importanti e costosi. Ottenere Pasta Armando attraverso questo procedimento è oneroso, ma caratterizza fortemente il nostro brand sul mercato».

Come avete affrontato, dall’inizio, la vostra relazione con gli stoccatori?

«Il mercato cerealicolo italiano è caratterizzato da una supply chain in cui o ci sono i consorzi, che funzionano da una certa fascia geografica in su dell’Italia, o ci sono gli stoccatori, interlocutori essenziali per la nostra filiera. Noi siamo legati agli stoccatori attraverso il contratto di filiera: come collegamento tra campo e industria, svolgono un ruolo insostituibile».

Il cambiamento climatico, quanto vi preoccupa?

 «Il cambiamento climatico è un tema enorme per gli impatti che provoca. Negli ultimi quattro anni il Canada ha avuto le due peggiori raccolte di sempre e, nell’annata agraria 2022/2023, l’Italia ha avuto il peggior raccolto qualitativo degli ultimi 30 anni. Noi facciamo progetti che ci autofinanziamo per fronteggiare questi rischi che, su una coltura a ciclo lungo come il grano duro, sono purtroppo molto elevati. Con l’aiuto dei nostri agronomi, tecnici e consulenti, aggiorniamo costantemente il disciplinare di coltivazione, cercando così di fornire ai nostri agricoltori maggiori protezioni contro le variabilità dei raccolti».

Sul versante energetico, avete fatto degli investimenti?

«Anni fa, abbiamo investito in un cogeneratore che oggi ci copre quasi l’85% del fabbisogno con un impatto positivo sull’ambiente, in particolare riducendo le emissioni di CO2 in atmosfera. Stiamo studiando il progetto di un parco fotovoltaico, per diventare sempre meno dipendenti dall’energia».